La storia di un uomo ed un giocatore sempre fuori dagli schemi
"Se un giorno dovessi scegliere fra fare un passaggio facile o dare spettacolo, non avrei dubbi: sceglierei lo spettacolo"
'Pistol' Pete Maravich
Lo spettacolo nelle vene. La voglia di stupire. Sempre. La pallacanestro come riscatto di una vita ai margini, da eterno escluso, da eterno ultimo, da emarginato. Uno dei più impressionanti realizzatori della storia del gioco con una delle personalità più fragili che si siano mai viste. Pete Maravich. O, meglio, 'The Pistol': una storia da raccontare.
Nasce in Pennsylvania nel giugno del 1947. Le grandi città sono lontane, la rinascita americana manda solo echi indistinti che, in una terra dove la religione occupa un posto predominante, vengono sentiti con un certo fastidio. Pete cresce in una famiglia che
non ha particolari pretese, che fatica ad arrivare alla fine del mese e che opprime il piccolo con le ferree regole che la Bibbia impone. Maravich è al limite dell'incomunicabilità: timidissimo, con un fisico al limite del rachitismo, se ne sta in disparte in un mondo che è tutto suo e da cui sembra non voler uscire. Senonchè un giorno, a 7 anni, Press Maravich, suo padre, allora modesto allenatore di basket, lo prende da parte e gli dice 'Figliolo, io non ho i soldi per mandarti al college o in qualche università prestigiosa. Se vuoi, però, ti posso insegnare a giocare a basket: magari un giorno diventerai talmente bravo che otterrai una borsa di studio, o addirittura diventerai un professionista e vincerai un bell'anello'. Bastano quelle parole per far scattare nella testa di Pete un'autentica ossessione.
La pallacanestro diventa la sua unica ragione di vita, capisce che può essere la chiave per essere finalmente rispettato e ammirato. Comincia ad allenarsi per ore nei palyground della Pennsylvania, dorme letteralmente con la palla, viene buttato fuori dai cinema perchè, durante le proiezioni, palleggia, va tutte le mattine a scuola a piedi solo per poter giocare ancora qualche minuto. Il problema è che il fisico non è quello di un cestista: a 14 anni è 1.85 ma pesa appena 62 chili. Viene spazzato via durante le partite, cerca i contatti per dimostrare di potercela fare a stare in campo ma spesso ha la peggio. A 14 anni si sente un fallito e scopre l'alcool. Improvvisamente, nel giro di 5 giorni, da totalmente astemio diventa un bevitore incallito. Non può fare a meno della bottiglia, ogni festa è la sua, e il suo talento sembra perdersi come tanti altri. Poi un giorno capita per sbaglio in una riunione di Evangelisti: invece di andarsene, sta con loro per tre giorni, abbraccia la religione, la prima delle decine che abbraccerà in seguito. E decide di smettere con la bottiglia. Così come aveva cominciato, da un giorno all'altro e ricomincia a dedicarsi anima e corpo al basket.
Intanto suo padre fa carriera e diventa l'allenatore di Lousiana State University e si porta il figliolo appresso. Nasce la leggenda. All'epoca le matricole giocano un campionato a parte, con una partita che precede quella dei più grandi. Maravich segna 43.8 punti di media a partita in un'epoca in cui alla riga da tre punti non si pensa nemmeno. Diventa la vera attrazione: il pubblico, spesso, dopo le partite delle matricole di Maravich se ne va; ha già visto abbastanza. Nei due anni successivi continua lo spettacolo: 44.2 nel campionato 68/69 e 44.5 nel 69/70 in cui vince il premio come miglior universitario in assoluto e con 3667 punti diventa il miglior realizzatore della storia del college basketball, con un record imbattuto tuttora nonostante l'arrivo del tiro da tre. Il tutto però lo fa totalmente al di fuori degli schemi; sfrutta il suo enorme talento per battere chiunque, cerca lo spettacolo in maniera ossessiva e poi, come se non bastasse, ha quel look con basettoni e capello lungo che all'epoca dà scandalo. Il rettore dell'università un giorno lo chiama in ufficio per fargli presente che è ora che si disciplini dentro e fuori dal campo. Pete gli risponde: 'Mi ascolti, io voglio diventare milionario. Nessuno pagherebbe milioni per uno che non offre spettacolo'. Discussione conclusa.
Nel 1970 Atlanta lo sceglie al numero 3 pensando di farlo diventare la guardia che li possa condurre fuori dalle secche della bassa classifica. Segna 23 punti a partita nel primo anno da pro, ma è odiato dai compagni capeggiati dal leader Walt Bellamy, che lo vedono come un accentratore egoista ed egocentrico e cercano di isolarlo dal resto della squadra. Pete ne soffre e cerca l'appoggio del pubblico offrendo show appena possibile e diventando presto uno dei più spettacolari passatori della lega. Il record di Atlanta però non migliora sensibilmente e 'The Pistol', come viene soprannominato per il suo mortifero arresto e tiro, si fa la fama del 'bello ma perdente'. I New Orleans Jazz, in procinto di trasferirsi nello Utah, gli danno una seconda possibilità, dandogli le chiavi di una squadra giovane ma in crescita.
Anche con i Jazz dimostra il suo enorme talento offensivo: per 5 volte è all star, per 2 volte vince il titolo di miglior marcatore. Il problema per i suoi allenatori è che non riescono ad inserirlo in uno straccio di schema: se c'è un passaggio facile da fare, lui lo fa in mezzo alle gambe: se c'è da ragionare, lui prende e tira: se c'è da salvaguardare il suo fisico di cristallo, lui si butta contro i peggiori bestioni in circolazione solo per poter dimostrare che lui è il più forte. E poi, per l'ennesima volta, si cerca di cambiare il suo look da figlio dei fiori: tempo perso. Quando i Jazz si trasferiscono nello Utah, paese mormone, è chiaro che lo scandaloso Pete non può rimanere. 'The Pistol' coglie l'occasione per provare ad andare in una squadra finalmente vincente: i Celtics di Bird. Putroppo le suo ginocchia e la sua schiena sono devastate da decine di contatti al limite e conseguenti infortuni.
Maravich pensa di risolvere tutto ancora una volta con il suo spaventoso talento, ma il suo fisico non regge più e i Celtics hanno leader ben definiti su cui poggiare la rincorsa al titolo. Maravich fatica ad accettare un ruolo di comprimario, ma lo fa in funzione di realizzare il suo sogno: vincere un titolo. Quando i Celtics nel 1980 perdono la finale con Philadelphia, per Pete è l'inizio di un tunnel. Si ritira dal basket, e chiude i rapporti col mondo.
Senza il suo sport torna ad essere un uomo senza ragione di vita. Per due anni letteralmente scompare, cambia indirizzo, cambia numero di telefono, fatica ad uscire di casa, non ha più rapporti col mondo esterno. Dopo questo isolamente esce con un'eclatante intervista: si presenta in televisione con due enormi baffi, emaciato e pallido e annuncia la chiamata di Dio e la fondazione di una nuova religione. Che dura davvero poco. Perchè passati pochi mesi passa all'induismo, poi al buddismo, poi al salutismo estremo, per poi virare ad una sedicente cura proveniente dall'Est Europa che lo farebbe vivere fino ai 150 anni. Il tutto fino a quando dice di aver ricevuto segnali dallo spazio e fa dell'ufologia la sua unica ossessione. Trattato ormai come un fenomeno da circo, Pete crolla però nel luogo in cui è stato grande. Muore su un campo da basket di infarto nel 1988, ad appena 41 anni, durante un'esibizione di 3 contro 3. L'autopsia indica un difetto congenito al cuore che, diagnosticatagli prima, non gli avrebbe consentito di calcare mai un campo da basket. I Jazz ritirano la sua maglia. La maglia di un uomo fuori dagli schemi. La maglia di Pete Maravich. 'The Pistol'.
(Fonte)
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