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domenica 27 febbraio 2011

La rubrica della domenica 2

L'uomo che si voleva sedere sul ferro

Earl "The Goat" Manigault


Micheal Jordan? Magic Johnson? Wilt Chamberlain? Sbagliato. Se andate a New York e chiedete chi è il giocatore più forte di sempre, sentirete sempre la stessa risposta: Earl "The Goat" Manigault. L'uomo che sognava di sedersi sul ferro, colui che saltò Kareem Abdul Jabbar, la più grande leggenda del basket di strada che a 22 anni si perse definitivamente...

New York è il basket. Vero: l'Indiana è lo stato che ha più praticanti in assoluto e il luogo dove il basket è una religione. Ma il luogo in cui il basket diventa leggenda, in cui i giocatori dei playground sono molto più rispettati dei giocatori Nba, in cui essere la star di un torneo all'aperto, il Rucker, vale molto di più di qualsiasi altro titolo vincerai nella tua vita, è la Grande Mela. Forse solo qui, per uno strano disegno del destino, poteva crescere il giocatore che molti (a NY tutti) considerano il più forte di sempre: Earl "The Goat" Manigault, "l'uomo che voleva sedersi sul ferro".


Nasce nel North Carolina, ottavo di nove figli di una famiglia talmente povera che
vive i figli come accidenti da cui liberarsi in fretta; e così fanno, lo abbandonano letteralmente in un angolo di strada da cui, dopo 2 giorni, viene raccolto dalla signora Mary Manigault, messa quasi peggio della famiglia originaria, ma che almeno gli dà un pezzo di pane pur facendolo vivere senza acqua corrente, luce e riscaldamento. Earl è ai limiti dell'autismo: non parla, si esprime quasi a versi, nessuno riesce a comunicare col ragazzino, anche perchè la maggior parte del "parentado" è impegnato a sopravvivere.
A 11 anni capita in uno dei centomila playground newyorkesi: lui, 168 centimetri di fisico anoressico, rimedia subito un paio di ceffoni, tanto per dargli il benvenuto, senonchè nel vedere un ragazzo che schiaccia, così, per puro spirito di imitazione, prende la corsa e si aggrappa al ferro con due mani. Il boato che ne segue fa capire ad Earl che il basket può essere una buona via da seguire.
Migliora da far spavento: a 13 anni è una delle attrazioni di Harlem, schiaccia due palloni da volley contemporaneamente, schiaccia saltando una bicicletta, schiaccia in qualunque maniera. Gira tutto il giorno con i pesi attaccati alle caviglie e come unica fonte di sostentamento ha il vincere le scommesse con i quattro babbei che lo sfidano nelle imprese più impossibili: toccare l'angolo alto del tabellone? fatto, schiacciare ad occhi chiusi? una passeggiata, e così via stupendo.
Ma per diventare il giocatore di playground più conosciuto al mondo ci vuole altro, e la data in cui Earl entra nella leggenda è il 4 luglio 1966. Torneo nel Queens, altra zona dove è meglio avventurarsi o se si è neri o se si è armati. Earl parte in contropiede prendendo la corsia laterale: immaginatevi una furia di 180 centimetri che vola inarrestabile: gli si parano davanti due difensori. La passa? Arresto e tiro? Rallenta? Macchè, li salta. Si, avete capito bene, li salta! Impressionante? Il meglio deve arrivare, perchè i due "saltati" sono Connie Hawkins, leggenda newyorkese del basket, e Lew Alcindor, che diventerà da lì a qualche anno Kareem Abdul Jabbar, che alla morte di "The Goat" ha ricordato l'episodio dicendo "ho giocato con Magic e Big O, ho giocato contro Dr.J e visto Micheal Jordan, ma quello che faceva Earl su un campo da basket non l'ho mai visto fare da nessuno. Earl superava abbondamente i confini della realtà".
Altro aneddoto? East Harlem, torneo a cui Earl arriva in ritardo. Appena lo vedono, uno dei giocatori in campo si mette a sedere per lasciar spazio alla leggenda. Prima azione, Earl parte e il solito difensore "disinformato" gli si para davanti sperando di prendere un bello sfondamento all'altezza del tiro libero. Earl, ovviamente, salta, fa leva col piede sulla nuca del ragazzotto (!) e volando con la testa a pochi centimetri dal ferro, va a schiacciare a due mani.
E allora, vi chiederete, come mai l'Nba non ha mai aperto le porte a questo Dio. In realtà la "carriera" di Earl si ferma molto prima. Espulso dal Franklin College per aver fumato un cannone in bagno, Manigault vive adorando il vino, la birra e qualunque alcolico di infima qualità gli mettano in mano. Il ragazzo, ai limiti dell'analfabetismo, non riesce mai ad entrare stabilmente in un programma scolastico. L'unica Università che sembra dargli fiducia è la Johnson Smith University di Charlotte, università per soli neri che, guarda caso, ha come allenatore di basket un bianco, tal Bill McCollough. Il buon Bill odia avere in squadra un alcolista scapestrato che di ascoltarlo non ha la minima voglia, e così la panchina per Manigault diventa un'abitudine. L'unica volta che McCollough si ricorda di lui, Manigault ne fa 27 in 18 minuti, per poi tornarsene in panchina per sempre, il tutto perchè McCollough odia aver torto.
Chiaro che così non si va avanti: Earl torna a New York, e al Rucker, il torneo di cui è il re fa per la prima volta conoscenza con quella signora che gli distruggerà la vita e la carriera: la cocaina. Manigault diventa un tossicodipendente, l'alcolismo ovviamente non lo abbandona. A 22 anni si devasta il fisico e la mente, distruggendo uno dei più grossi potenziali che la storia del gioco ricordi.
In una dei rari momenti di lucidità riesce ad avere un provino con gli Utah Stars nella ABA: incanta ma il suo fisico ed il suo cuore non reggono più sforzi prolungati. Ritorna a New York, va da uno dei più grandi spacciatori della costa e gli chiede di costruire un campo per tutti i ragazzi che abbiano voglia di giocare a basket. Ovviamente ad una leggenda non si può dire di no: "The Goat" ha il suo campo, di cui diventerà custode, spazzandolo personalmente e facendolo diventare la sua casa nei sempre più rari momenti di lucidità.
Intanto mentre la leggenda procede tanto che sarà soggetto di un film, il "re buono" si spegne sempre più, costellando gli ultimi anni di rari momenti di orgoglio, come quando va a schiacciare in faccia agli incauti che lo sfidano, per poi accasciarsi al suolo per far riprendere il suo cuore ballerino.

Ed è proprio il cuore a tradirlo nel Maggio '88 quando lascia New York con un vuoto enorme, e la lascia senza aver realizzato il suo sogno: "voglio schiacciare e poi sedermi sul ferro". Il sogno di un poeta. Il sogno del Re di New York. Per molti il più grande.


(Fonte Riccardo Romualdi)
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4 commenti:

  1. Buongiorno ragazzi,scusate se mi inserisco furtivamente sul vostro blog ma le appasionanti storie di basket che qui leggo, fungono da ispirazione per la mia che ora mi accingo a raccontare.
    ah dimenticavo...queste e molte altre usciranno in libreria, raccolte in un fantastico volume. grazie sin da ora,sempre vostro, UGO FRANCICANAVA.

    "Un uomo chiamato zio"
    Avevo appena intrapreso la carriera di scouting e sebbene fossi agli inizi, già mi aggiravo per le palestre in cerca di nuovi talenti da proporre ai grandi club di tutta europa. Era il periodo della crisi economica e per scovare giovani campioni ci si arrangiava un pò come si poteva. capitai per sbaglio nella magnifica palestra "spopulonia", solo perchè un omarino tutto nero che la custodiva, mi aveva parlato di una fortissima squadra locale nella quale militava un giocatore dalle indubbie qualità tecniche. Alla vista ne rimasi sorpreso, non tanto per la mano decisamente educata che accompagnava ogni suo tiro dall'arco dei 3 punti, ma per come facesse a correre da una parte all'altra del campo ad una velocità forsennata malgrado il panettone che aveva deglutito intero. mi accorsi subito del suo sconfinato talento e parlai con coach bonazzi per provare a trovare un accordo per portarlo via dall'italia. Ogni mio tentativo fu respinto con forza. era una squadra molto bella a vedersi, "giovane", veloce e dotata di ottime indivuadiltà. l'asse play pivot era ben assortito e molto dinamico, anche grazie alla velocità di gambe di "torsolo"...così era chiamato questo omone lungo e smilzo accompagnato da una costante quantità di aglio in corpo che lo rendeva indifendibile a meno di 4 metri dal suo apparato boccale.
    rimanevo però sempre più affascinato dallo zio. era bello vedere come volteggiava su quei piedini da ballerina, partiva in contropiede e si arrestava dalla linea dei 3 punti per bruciarla puntualmente!!! era lato 1,50 pesava 130 kg ma era sempre il primo a partire in contropiede. non appena strappavi un rimbalzo difensivo, ti giravi e notavi che barbapapà era già sotto il canestro avversario che aspettava il lancio per depositare in rete. Malgrado fosse una star, la più pagata del team, amava mantenere bassi profili e coinvolgere i compagni al tiro...si insomma non era uno da 30 tiri a partita che con la sua luce tendeva ad oscurare gli altri. Era il capitano della squadra e...da buon capitano, dimostrava spesso e volentieri la stima e la fiducia che aveva in tutti i suoi ragazzi, pensate che spesso ne aveva così tanta che non tornava nemmeno in difesa. Proprio così, simulava un infortunio sotto al canestro avversario per eludere i rimproveri del coach che lo esortava a rientrare in difesa, salvo poi ritrovare la forza di alzarsi in zero secondi per raccogliere il lancio dei suoi compagni e buttarsi al ferro. Avrei voluto portarlo in brasile insieme a holly e benji ma tutti i miei tentavi cadderò nel vuoto. Mi giunge voce che ancora stia giocando, che abbia bruciato ogni record di punti della lega, e che ormai la sua pancia sia un cimitero di polli. Un giorno tornerò ad ammirarne le gesta in quella sciocca e putrida palestra che può dire di aver visto nascere la più grande stella che l'artbo abbia mai potuto ammirare. alla prossima, sempre vostro...MANA della Gneggna francicanava!!!

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  2. sono commosso...correro' sempre piu' forte..!!!!!!

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  3. Splendida!!! Se me la spedivi te la pubblicavo in prima pagina!

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  4. questo è nulla caro ludo...le prossime pubblicazioni riguarderanno: torsolo allori, ludovic bum bum gruppiovinovic e ricky fly manarrosa!!!

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